I classici intramontabili. Sia del cinema, che sulla tavola italiana. Le sperimentazioni e le innovazioni sono sempre ben gradite e accette, ma ogni tanto fa piacere tornare ai vecchi sapori, agli inimitabili, agli evergreen. E chi meglio degli Involtini alla romana, accompagnati dal classico Psycho di Alfred Hitchcock, può rientrare in questa categoria? Questo abbinamento, ben si accompagna a qualsiasi serata abbiate in mente: amici cinefili, cena romantica, o una en solitaire.
La ricetta
Involtini alla romana
INGREDIENTI per 2 persone:
-
6 fettine sottili di bovino;
-
400 g. di passata di pomodoro;
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6 fette di mortadella;
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1 carota;
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1 costa di sedano;
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1 scalogno;
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1 spicchio d’aglio;
-
1 peperoncino;
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4 foglie di basilico;
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1 mazzetto piccolo di prezzemolo;
-
olio evo, pepe nero, sale, origano, vino bianco: q.b.
PREPARAZIONE (25 minuti):
Pulire e pelare la carota e il
sedano, tagliarli a striscioline sottili sempre con il pela patate.
Per ogni fettina di bovino:
salarla e peparla su un lato, mettere una fettina di mortadella e al centro un
po’ striscioline di carote e sedano. Arrotolare ad involtino e chiudere
aiutandosi con degli stuzzicadenti.
Soffriggere in una padella lo
scalogno tritato, lo spicchio d’aglio e il peperoncino. Aggiungere gli
involtini e cuocerli tre minuti per lato a fuoco alto. Sfumare con il vino
bianco, aggiungere la passata di pomodoro, aggiustare di sale, aggiungere il
basilico e il prezzemolo tritati e cuocere con coperchio a fuoco moderato per
10 minuti.
Impiattare con una spolverata di
origano.
Alessandro Ricchi
La recensione
Psycho
In un piccolo e isolato
albergo a conduzione familiare, usereste la doccia per lavarvi? Chiunque abbia
visto Psycho, uno dei capolavori del Maestro Alfred Hitchcock, risponderebbe di
no. Infatti, è memorabile e indelebile nell’immaginario collettivo la sequenza
dell’omicidio sotto la doccia, in cui cade vittima la protagonista Marion,
interpretata da Janet Leigh. Lo scopo del regista era quello di realizzare un
film a basso costo, in bianco e nero (all’epoca già c’era stata la rivoluzione
del colore n.d.r.), concependolo come una sfida: il suo scopo era ottenere
un’opera di qualità in poco tempo e con pochi mezzi, utilizzando per di più un
soggetto considerato degno per un horror di serie B. Psycho è tratto, infatti,
dall’omonimo romanzo di Robert Block, che si ispirò al serial killer Edward
Gain. A differenza di altri lavori di Hitchcock la sceneggiatura, scritta da
Joseph Stefano, si attiene fedelmente a quella del libro. Nell’opera ritroviamo
diverse tematiche favorite del regista: psiche umana, complesso edipico, tema
del doppio, ambiguità, rapporto tra innocenza e colpevolezza, sessualità
vissuta come peccato. Questi elementi vanno a formare già di per loro la forza
del film, ma il vero aspetto intrigante di Psycho è il come vengono raccontati.
Lo script gioca molto con le allusioni e le false piste per ingannare lo
spettatore e, tra tutti, spicca la morte di Marion: mai prima di questo film,
nessuno aveva mai fatto morire l’eroina. Il pubblico viene completamente
spiazzato e vivrà il resto della storia con la paura: se anche Marion è morta,
chi mai potrà salvarsi dalle grinfie dell’assassino? Tutto quello che precede
quest’improvviso omicidio – la storia d’amore, il furto, lo scambio delle
macchine l’arrivo al Motel Bates – servono solo a distogliere l’attenzione e
rendere ancor più forte e sorprendente la scena dell’assassinio. Questo
particolare procedimento si chiama Red Herring. Le voci fuori campo e le
ambigue apparizioni della madre di Norman Bates, interpretato egregiamente da
Anthony Perkins, contribuiscono a rinforzare un senso generale di smarrimento e
di dubbio. Sicuramente il personaggio della madre di Norman è il fulcro di
tutto l’intreccio filmico. Il compito dei collaboratori di Hitchcock, sotto
ogni sua singola direttiva, fu quello di ricreare dal nulla una donna in carne
e ossa, che ingannasse ogni singolo spettatore. Ci riuscirono talmente bene che
persino durante le riprese si parlava della Mamma
come di un’attrice reale. Sebbene nel romanzo fosse una quarantenne, il
regista preferì farla apparire come una donna anziana e, per il colpo di scena
finale, scelse di rappresentarla con il solo teschio ricoperto da pelle
rinsecchita e con i capelli grigi e la riga nel mezzo. Secondo un divertente
aneddoto, per capire quale prototipo della Mamma
fosse il più adatto, Hitchcock si divertiva a torturare la Leigh facendogli
trovare improvvisamente i vari modelli della Mamma nell’armadietto: il
prototipo da usare fu scelto anche in base alle urla dell’attrice. Altro
fattore importante è la scenografia, a cui Hitchcock dava sempre importanza
fondamentale in ogni sua opera e mai come in questo caso ebbe ragione. Ancora
oggi casa Bates viene considerata come una delle più riuscite ambientazioni
della storia del cinema e mentre la si osserva suscita subito angoscia e
inquietudine. Psycho fu un lavoro estenuante a livello registico. Molte,
infatti, sono le scene elaborate tra cui l’omicidio di Arbogast, le sequenze
con la Mamma e la lotta finale. Quella più memorabile resta comunque quella
della doccia, realizzata con ben 70 posizioni della mdp e 7 giorni di riprese.
Il tutto per soli 45 secondi di film. Una vera dedizione e la dimostrazione di
quanto meticoloso possa essere il lavoro di un regista.
Elena Mandolini
Buone pappe e buon film!
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