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martedì 1 aprile 2014

Serata tipo - Evergreen

I classici intramontabili. Sia del cinema, che sulla tavola italiana. Le sperimentazioni e le innovazioni sono sempre ben gradite e accette, ma ogni tanto fa piacere tornare ai vecchi sapori, agli inimitabili, agli evergreen. E chi meglio degli Involtini alla romana, accompagnati dal classico Psycho di Alfred Hitchcock, può rientrare in questa categoria? Questo abbinamento, ben si accompagna a qualsiasi serata abbiate in mente: amici cinefili, cena romantica, o una en solitaire. 



La ricetta
Involtini alla romana






INGREDIENTI per 2 persone:

-          6 fettine sottili di bovino;
-          400 g. di passata di pomodoro;
-          6 fette di mortadella;
-          1 carota;
-          1 costa di sedano;
-          1 scalogno;
-          1 spicchio d’aglio;
-          1 peperoncino;
-          4 foglie di basilico;
-          1 mazzetto piccolo di prezzemolo;
-          olio evo, pepe nero, sale, origano, vino bianco: q.b.



PREPARAZIONE (25 minuti):

Pulire e pelare la carota e il sedano, tagliarli a striscioline sottili sempre con il pela patate.
Per ogni fettina di bovino: salarla e peparla su un lato, mettere una fettina di mortadella e al centro un po’ striscioline di carote e sedano. Arrotolare ad involtino e chiudere aiutandosi con degli stuzzicadenti.
Soffriggere in una padella lo scalogno tritato, lo spicchio d’aglio e il peperoncino. Aggiungere gli involtini e cuocerli tre minuti per lato a fuoco alto. Sfumare con il vino bianco, aggiungere la passata di pomodoro, aggiustare di sale, aggiungere il basilico e il prezzemolo tritati e cuocere con coperchio a fuoco moderato per 10 minuti.
Impiattare con una spolverata di origano.

Alessandro Ricchi


La recensione
Psycho




In un piccolo e isolato albergo a conduzione familiare, usereste la doccia per lavarvi? Chiunque abbia visto Psycho, uno dei capolavori del Maestro Alfred Hitchcock, risponderebbe di no. Infatti, è memorabile e indelebile nell’immaginario collettivo la sequenza dell’omicidio sotto la doccia, in cui cade vittima la protagonista Marion, interpretata da Janet Leigh. Lo scopo del regista era quello di realizzare un film a basso costo, in bianco e nero (all’epoca già c’era stata la rivoluzione del colore n.d.r.), concependolo come una sfida: il suo scopo era ottenere un’opera di qualità in poco tempo e con pochi mezzi, utilizzando per di più un soggetto considerato degno per un horror di serie B. Psycho è tratto, infatti, dall’omonimo romanzo di Robert Block, che si ispirò al serial killer Edward Gain. A differenza di altri lavori di Hitchcock la sceneggiatura, scritta da Joseph Stefano, si attiene fedelmente a quella del libro. Nell’opera ritroviamo diverse tematiche favorite del regista: psiche umana, complesso edipico, tema del doppio, ambiguità, rapporto tra innocenza e colpevolezza, sessualità vissuta come peccato. Questi elementi vanno a formare già di per loro la forza del film, ma il vero aspetto intrigante di Psycho è il come vengono raccontati. Lo script gioca molto con le allusioni e le false piste per ingannare lo spettatore e, tra tutti, spicca la morte di Marion: mai prima di questo film, nessuno aveva mai fatto morire l’eroina. Il pubblico viene completamente spiazzato e vivrà il resto della storia con la paura: se anche Marion è morta, chi mai potrà salvarsi dalle grinfie dell’assassino? Tutto quello che precede quest’improvviso omicidio – la storia d’amore, il furto, lo scambio delle macchine l’arrivo al Motel Bates – servono solo a distogliere l’attenzione e rendere ancor più forte e sorprendente la scena dell’assassinio. Questo particolare procedimento si chiama Red Herring. Le voci fuori campo e le ambigue apparizioni della madre di Norman Bates, interpretato egregiamente da Anthony Perkins, contribuiscono a rinforzare un senso generale di smarrimento e di dubbio. Sicuramente il personaggio della madre di Norman è il fulcro di tutto l’intreccio filmico. Il compito dei collaboratori di Hitchcock, sotto ogni sua singola direttiva, fu quello di ricreare dal nulla una donna in carne e ossa, che ingannasse ogni singolo spettatore. Ci riuscirono talmente bene che persino durante le riprese si parlava della Mamma come di un’attrice reale. Sebbene nel romanzo fosse una quarantenne, il regista preferì farla apparire come una donna anziana e, per il colpo di scena finale, scelse di rappresentarla con il solo teschio ricoperto da pelle rinsecchita e con i capelli grigi e la riga nel mezzo. Secondo un divertente aneddoto, per capire quale prototipo della Mamma fosse il più adatto, Hitchcock si divertiva a torturare la Leigh facendogli trovare improvvisamente i vari modelli della Mamma nell’armadietto: il prototipo da usare fu scelto anche in base alle urla dell’attrice. Altro fattore importante è la scenografia, a cui Hitchcock dava sempre importanza fondamentale in ogni sua opera e mai come in questo caso ebbe ragione. Ancora oggi casa Bates viene considerata come una delle più riuscite ambientazioni della storia del cinema e mentre la si osserva suscita subito angoscia e inquietudine. Psycho fu un lavoro estenuante a livello registico. Molte, infatti, sono le scene elaborate tra cui l’omicidio di Arbogast, le sequenze con la Mamma e la lotta finale. Quella più memorabile resta comunque quella della doccia, realizzata con ben 70 posizioni della mdp e 7 giorni di riprese. Il tutto per soli 45 secondi di film. Una vera dedizione e la dimostrazione di quanto meticoloso possa essere il lavoro di un regista.

Elena Mandolini


Buone pappe e buon film!

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