Oggi partiamo dal film. Un'opera controversa, che sta facendo commuovere e riflettere, ma che sta anche creando discordie tra diversi critici, che lo reputano un film creato ad hoc solo per vincere gli Oscar. Onestamente, noi facciamo parte della prima schiera ed Elena non rientra nei critici detrattori. Anzi. Stiamo parlando de La teoria del tutto, basato sulla vita di Stephen Hawking. Per un film agrodolce, abbiamo pensato di abbinarci un piatto altrettanto agrodolce, grazie sia alla crema di soia che al succo del limone: le Pappardelle al limone.
La ricetta
Pappardelle al limone
INGREDIENTI per 2 persone:
-
5 nidi di pappardelle;
-
succo di un limone;
-
2 cucchiai di crema di soia;
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1 cucchiaio di semi di finocchio;
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1 cucchiaino di granella di pistacchi;
-
olio evo, sale, pepe nero macinato, paprika, curry,
cannella macinata, salvia tritata, origano, parmigiano grattugiato: q.b.
PREPARAZIONE (20 minuti):
Preparare un’emulsione con
limone, olio, pepe nero, paprika, curry, cannella macinata, salvia, origano,
semi di finocchio e pistacchi. Mettere l’emulsione in una padella e scaldarla,
aggiungere la crema di soia e amalgamare.
Cuocere in abbondante acqua
salata la pasta, scolarla al dente e saltarla nella padella con la salsa
intervallando acqua di cottura e parmigiano.
Impiattare con una spolverata di
parmigiano.
1963, il giovane Stephen
Hawking è un cosmologo dell'Università di Cambridge che sta cercando di trovare
un'equazione unificatrice per spiegare la nascita dell'universo e come esso
sarebbe stato all'alba dei tempi. Ad una festa universitaria conosce una
studentessa di lettere: Jane Wilde. Entrambi sono attratti l'uno dall'altra e,
ben presto, Stephen invita Jane al ballo di primavera dove si scambieranno il
loro primo bacio sotto le stelle. La loro storia d'amore viene ostacolata però
dalla comparsa della malattia degenerativa di Stephen: l'atrofia muscolare
progressiva. Una recensione molto
difficile da scrivere dal punto di vista oggettivo. Perché La teoria del tutto è un film che ti colpisce al cuore con una
forza incredibile e che ti lascia strascichi emotivi anche giorni dopo averlo
visto. L’opera racconta la potenza di un uomo e il suo desiderio di vincere una
malattia progressiva e invalidante, la voglia di salvaguardare il suo cervello,
di preservare la sua indole, di continuare ad amare. La cosa più sorprendente è
che tutto questo viene racchiuso in un unico e piccolo uomo, fisicamente, ma
immenso nella sua intelligenza: Stephen Hawking. La sorprendente storia del cosmologo, già
conosciuta proprio in virtù della sua malattia, è l’esempio di come niente potrebbe
fermare un uomo e il raggiungimento dei suoi obiettivi; neanche un’infermità.
L’unico elemento che potrebbe bloccarlo è proprio sé stesso, cosa che non è accaduta
a Hawking. Persino la sua ironia e autoironia non si sono spenti e, anzi, sono
diventati il modo per esorcizzare l’inabile condizione fisica. Niente, però,
sarebbe stato possibile senza l’amore di una donna: Jane. L’unica che riuscì a
scuoterlo dalla prima depressione a seguito della drammatica diagnosi, che lo
sostenne nel suo percorso accademico, a dimostrazione che anche nella realtà
esistono grandi storie d’amore e non solo nella fantasia. Il film è tratto dal
libro Verso l’infinito, scritto
proprio da Jane e portato su grande schermo dal documentarista James Marsh.
Davvero un ottimo lavoro, anche a detta della figlia di Hawking e Jane, che in
molte interviste a dichiarato quanto il film sia aderente alla realtà e alle vicende
personali della sua famiglia; anche nelle piccole cose, come la riproduzione
fedele delle loro case. Non è un caso che anche Hawking stesso, a seguito della
prima visione del film, si sia commosso. Notevole, infatti, è il lavoro fatto
da Marsh: una regia pulita, elegante e raffinata. Intense le sequenze
caratterizzate dalle soggettive emotive del protagonista (cioè mostrare e far
capire attraverso immagini, cosa prova il protagonista), in cui ci mostra
l’isolamento dato dalla malattia. E vi riesce attraverso immagini sfocate,
audio sporco e assenza totale di colonna sonora nei momenti più difficili
dell’uomo, legati al peggioramento fisico. Molto bella anche la sequenza
finale: un lungo movimento a ritroso, che ha un forte richiamo con le teorie di
Hawking e che è accompagnata dalla struggente melodia firmata dall’artista
Ludovico Einaudi. La fotografia di Benoît
Delhomme e la colonna sonora di Jóhann Jóhannsson vanno di pari passo con la
bellezza del film. La teoria del tutto si
poggia, in primis, sulla bravura del cast e, soprattutto, dei due attori
protagonisti: Felicity Jones ed Eddie Redmayne. Incredibile la sintonia tra i
due, specialmente nei momenti in cui devono affrontare la comparsa della
malattia. Senza la bravura di questi due attori, la magia del film non ci
sarebbe stata. Sopra ogni cosa, al di là di tutto, rimane impressa l’immensa
interpretazione di Redmayne: impossibile da descrivere a parole, bisogna
vederla per capire quanto l’attore si sia calato nella mente e nel corpo di
Hawking. Per le loro interpretazioni, i due giovani attori hanno già vinto il
Golden Globe e sono stati candidati all’Oscar. Un film davvero indimenticabile.
Elena Mandolini
Buone pappe e buon film!
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