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lunedì 26 gennaio 2015

Serata tipo - agrodolce

Oggi partiamo dal film. Un'opera controversa, che sta facendo commuovere e riflettere, ma che sta anche creando discordie tra diversi critici, che lo reputano un film creato ad hoc solo per vincere gli Oscar. Onestamente, noi facciamo parte della prima schiera ed Elena non rientra nei critici detrattori. Anzi. Stiamo parlando de La teoria del tutto, basato sulla vita di Stephen Hawking. Per un film agrodolce, abbiamo pensato di abbinarci un piatto altrettanto agrodolce, grazie sia alla crema di soia che al succo del limone: le Pappardelle al limone. 


La ricetta
Pappardelle al limone





INGREDIENTI per 2 persone:

-          5 nidi di pappardelle;
-          succo di un limone;
-          2 cucchiai di crema di soia;
-          1 cucchiaio di semi di finocchio;
-          1 cucchiaino di granella di pistacchi;
-          olio evo, sale, pepe nero macinato, paprika, curry, cannella macinata, salvia tritata, origano, parmigiano grattugiato: q.b.


PREPARAZIONE (20 minuti):

Preparare un’emulsione con limone, olio, pepe nero, paprika, curry, cannella macinata, salvia, origano, semi di finocchio e pistacchi. Mettere l’emulsione in una padella e scaldarla, aggiungere la crema di soia e amalgamare.
Cuocere in abbondante acqua salata la pasta, scolarla al dente e saltarla nella padella con la salsa intervallando acqua di cottura e parmigiano.
Impiattare con una spolverata di parmigiano.

Alessandro Ricchi


La recensione
La teoria del tutto





1963, il giovane Stephen Hawking è un cosmologo dell'Università di Cambridge che sta cercando di trovare un'equazione unificatrice per spiegare la nascita dell'universo e come esso sarebbe stato all'alba dei tempi. Ad una festa universitaria conosce una studentessa di lettere: Jane Wilde. Entrambi sono attratti l'uno dall'altra e, ben presto, Stephen invita Jane al ballo di primavera dove si scambieranno il loro primo bacio sotto le stelle. La loro storia d'amore viene ostacolata però dalla comparsa della malattia degenerativa di Stephen: l'atrofia muscolare progressiva. Una recensione molto difficile da scrivere dal punto di vista oggettivo. Perché La teoria del tutto è un film che ti colpisce al cuore con una forza incredibile e che ti lascia strascichi emotivi anche giorni dopo averlo visto. L’opera racconta la potenza di un uomo e il suo desiderio di vincere una malattia progressiva e invalidante, la voglia di salvaguardare il suo cervello, di preservare la sua indole, di continuare ad amare. La cosa più sorprendente è che tutto questo viene racchiuso in un unico e piccolo uomo, fisicamente, ma immenso nella sua intelligenza: Stephen Hawking.  La sorprendente storia del cosmologo, già conosciuta proprio in virtù della sua malattia, è l’esempio di come niente potrebbe fermare un uomo e il raggiungimento dei suoi obiettivi; neanche un’infermità. L’unico elemento che potrebbe bloccarlo è proprio sé stesso, cosa che non è accaduta a Hawking. Persino la sua ironia e autoironia non si sono spenti e, anzi, sono diventati il modo per esorcizzare l’inabile condizione fisica. Niente, però, sarebbe stato possibile senza l’amore di una donna: Jane. L’unica che riuscì a scuoterlo dalla prima depressione a seguito della drammatica diagnosi, che lo sostenne nel suo percorso accademico, a dimostrazione che anche nella realtà esistono grandi storie d’amore e non solo nella fantasia. Il film è tratto dal libro Verso l’infinito, scritto proprio da Jane e portato su grande schermo dal documentarista James Marsh. Davvero un ottimo lavoro, anche a detta della figlia di Hawking e Jane, che in molte interviste a dichiarato quanto il film sia aderente alla realtà e alle vicende personali della sua famiglia; anche nelle piccole cose, come la riproduzione fedele delle loro case. Non è un caso che anche Hawking stesso, a seguito della prima visione del film, si sia commosso. Notevole, infatti, è il lavoro fatto da Marsh: una regia pulita, elegante e raffinata. Intense le sequenze caratterizzate dalle soggettive emotive del protagonista (cioè mostrare e far capire attraverso immagini, cosa prova il protagonista), in cui ci mostra l’isolamento dato dalla malattia. E vi riesce attraverso immagini sfocate, audio sporco e assenza totale di colonna sonora nei momenti più difficili dell’uomo, legati al peggioramento fisico. Molto bella anche la sequenza finale: un lungo movimento a ritroso, che ha un forte richiamo con le teorie di Hawking e che è accompagnata dalla struggente melodia firmata dall’artista Ludovico Einaudi.  La fotografia di Benoît Delhomme e la colonna sonora di Jóhann Jóhannsson vanno di pari passo con la bellezza del film. La teoria del tutto si poggia, in primis, sulla bravura del cast e, soprattutto, dei due attori protagonisti: Felicity Jones ed Eddie Redmayne. Incredibile la sintonia tra i due, specialmente nei momenti in cui devono affrontare la comparsa della malattia. Senza la bravura di questi due attori, la magia del film non ci sarebbe stata. Sopra ogni cosa, al di là di tutto, rimane impressa l’immensa interpretazione di Redmayne: impossibile da descrivere a parole, bisogna vederla per capire quanto l’attore si sia calato nella mente e nel corpo di Hawking. Per le loro interpretazioni, i due giovani attori hanno già vinto il Golden Globe e sono stati candidati all’Oscar. Un film davvero indimenticabile.

Elena Mandolini 


Buone pappe e buon film!

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